mercoledì 31 dicembre 2008

Super O. è con Israele



"If somebody was sending rockets into my house where my two daughters sleep at night, I would do everything to stop that, and would expect Israel to do the same thing." (Barack Obama)

lunedì 22 dicembre 2008

Allarme Global Warming (?)


Il Global Warming non è un'ideologia ambientalista che non ha nessun riscontro sulla realtà quotidiana, è scienza. Scienza esatta e incontrovertibile. Gli Scienziati Globali hanno dalla loro parte i dati. La forza dei fatti. Gli scettici, coloro che continuano ad indossare giubbotti e maglioni pesanti, e quelli più estremisti che non possono rinunciare ai guanti e le sciarpe di lana, invece, continueranno ad affidarsi alle teorie complottistiche dei centri di ricerca meteorologica, come il Centro Epson Meteo, il quale prevede che "a Natale la nostra Penisola verrà investita da un nucleo di aria gelida polare che farà crollare ovunque le temperature, spingerà nuove nuvole su quasi tutte le regioni e darà vita a un vortice di bassa pressione che poi a Santo Stefano porterà maltempo in gran parte d'Italia, con la neve che oltre alle montagne imbiancherà anche la Valpadana Occidentale e le coste centrali adriatiche". "Pioggia, freddo intenso e nevicate fino a bassa quota, alternati a brevi e temporanee pause, ci accompagneranno quindi fino alla fine dell'anno" (Corriere della Sera).

A Natale molti scettici crederanno all'illusione bianca, alla neve, e penseranno che fa freddo. Ma loro non hanno letto Al Gore, non possono sapere. Buon Natale a tutti.


mercoledì 3 dicembre 2008

L'Iraq di Bush


E come per magia si ricomincia a parlare di Iraq, guarda un po’. Tutti si accorgono, solo adesso, che laggiù la situazione non è poi così male come l’avevano raccontata fino all’altro ieri. Ed ecco i primi, timidi, elogi al generale Petraeus. Ed eccoli i primi, timidissimi, quasi sussurrati, apprezzamenti all’ostinazione (vincente) del presidente Bush.
Si accorgono solo adesso che un Iraq democratico, politicamente più stabile, meno soggetto a violenze intestine, potrebbe rivelarsi un fattore determinante per gli equilibri mediorientali e mondiali. Tutti sbalorditi dai dati che confermano come il terrorismo, la criminalità e gli attentati, stiano diminuendo sostanzialmente; la gente riapre i negozi, i mercati si risvegliano, le mamme accompagnano di nuovo i propri figli a scuola, i teatri si ripopolano, un’intera società ricomincia a respirare aria di normalità e di libertà: è un bel colpo di magia o è frutto di una strategia politica efficace? Avremmo ottenuto gli stessi risultati assecondando le richieste pacifiste?

La politica di Bush può essere criticata, certo, ma non possiamo non riconoscere che sia stata efficace: l’America di oggi è molto più sicura di otto anni fa. La lotta al terrorismo portata avanti dal presidente americano, di concerto con i leader europei, ha dato i suoi frutti in occidente, evitando nuovi attentati, ma necessita di continui sforzi e di una collaborazione capillare. Avremmo dovuto capire subito che non potevamo intraprendere un’azione di contrasto al terrorismo internazionale prescindendo da quel territorio così cruciale nello scacchiere mediorientale. Avremmo dovuto capire subito che l’11 settembre non era un problema solo americano.
Ecco quindi che l’Iraq, ironia della sorte, da simbolo del fallimento dell’amministrazione Bush, potrebbe rivelarsi, la sua più grande vittoria. La Storia emetterà il suo giudizio, severo sotto molti aspetti, eppure George W. Bush non sarà ricordato solo per la sua impopolarità.

venerdì 7 novembre 2008

Anche Obama è: Dio, Patria e Famiglia


Pubblico per intero, il commento di Giancarlo Loquenzi (tratto da l'Occidentale di oggi) sul neopresidente Obama. Merita una lettura disincantata:

"La stampa europea e italiana “mainstream” ci raccontava da settimane come fosse ormai finita l’era americana. Il mondo non avrebbe più avuto una sola potenza ma era ormai destinato a essere multipolare e libero dal condizionamento Usa. Ci spiegava anche che la crisi finanziaria era il segno del declino della superpotenza a stelle e strisce e che Barack Obama sarebbe stato il perfetto leader di questo declino.
Oggi scopriamo, soprattutto sulla stampa italiana ma anche nel mondo politico “democratico” che il cambio della guardia alla Casa Bianca “cambia il mondo”, anzi, di fatto l’ha già cambiato. Prendetevi i titoli di Repubblica, dell’Unità, o i manifesti del Pd in giro per le città: altro che declino americano, Obama non s’è neppure insediato che già una formidabile reazione a catena sprigiona i suoi effetti sul pianeta.
“Il mondo è cambiato” è il titolo a caratteri cubitali di Repubblica di oggi, lo stesso giornale dove Vittorio Zucconi faceva l’aedo del declino fino a ieri; ancora più assurda la prima pagina dell’Unità: la terra vista dalla luna (forse perché è da lì che scrivono) con la scritta “Nuovo Mondo”. “Il mondo nuovo” è il titolo dell’editoriale del Manifesto, mentre “Il mondo cambia” è il manifesto del Pd e affisso in ogni strada.
Insomma gli anti-americani di casa nostra, i pacifisti, quelli del “no blood for oil”, hanno improvvisamente decretato l’onnipotenza dell’America: ci siamo addormentati nel peggiore dei mondi possibile e ci siamo svegliati nel paradiso dei buoni e dei giusti.
Le cose ovviamente non stanno così. Il mondo e tale e quale a prima e l’Italia dell’obamamania è forse anche un po’ peggio di prima. Anche l’America non è veramente cambiata, almeno agli occhi di chi ha sempre saputo quello che Obama ha detto nel suo discorso dopo la vittoria: “Qui tutto è possibile”. E’ così ed è sempre stato così. L’elezione del primo presidente afro-americano ne è solo l’ultima dimostrazione.
Per accorgersi che l’America non è (per fortuna) cambiata bastava fare attenzione ad alcuni dettagli della grande festa per Obama al Grant Park di Chicago martedì notte sfuggiti alla stampa italiana. Quando ormai i risultati avevano già decretato la vittoria del senatore dell’Illinois e la folla aspettava trepidante l’arrivo sul palco del nuovo presidente è invece apparso un sacerdote con la bibbia sottobraccio. Si è avviato lentamente verso il microfono e davanti a 250.000 persone immediatamente silenziose ha pregato. Ha reso grazie a Dio per la vittoria di Obama e ha chiesto la sua benedizione per il presidente e per l’America. Poi si è girato e sempre senza alcuna esitazione è tornato dietro le quinte. Pochi istanti dopo è apparso un altro personaggio inatteso: un veterano che davanti alla stessa folla ha chiesto un pensiero di gratitudine per tutti i soldati americani che nei secoli hanno perso la vita per il loro paese. Poi ha recitato ad alta voce il pledge of allegiance, il giuramento di lealtà alla Patria: "I pledge allegiance to the flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands: one Nation under God, indivisible, With Liberty and Justice for all.". Le immagini televisive mostravano la gente ripeterlo a memoria. Alla fine, ma solo alla fine è entrata in scena la Famiglia Obama, Barack che teneva per mano la moglie e le sue due figlie.
Dio, Patria, Famiglia: i pilastri immutabili della società americana. Obama li ha evocati nel giorno della sua vittoria, senza retorica, senza enfasi, senza affettazione, ma come la più semplice e spontanea cerimonia di etica pubblica. Niente a che fare con il patriottismo posticcio dell’Inno d’Italia cantato al Circo Massimo del Pd o con la paura per “l’ingerenza vaticana” ogni volta che Dio viene richiamato nello spazio della politica.
L’America non è cambiata perché è sempre il luogo del cambiamento e della tradizione e della loro fertile e continua dialettica. Qualcuno si è accorto che la laicissima California ha bocciato l’idea che il matrimonio possa essere qualcosa di diverso che l’unione tra un uomo e una donna? E qualcuno sì accorto che il “nuovissimo” Obama non ha speso una parola per contrastare referendum che difendeva i matrimoni gay?
C’è un abisso tra l’Italia e l’America e c’è un abisso ancora più vasto tra il Pd e il Partito Democratico di Barack Obama. E nulla di tutto questo è cambiato."

mercoledì 5 novembre 2008

Chapeau, Presidente Obama!



E’ finita. Alla fine Barack Obama ce l’ha fatta. E’ lui il 44mo presidente americano. Ha vinto la sua naturale eleganza. Ha vinto la sua retorica carica di emozioni e sentimenti, intrisa di storia americana. Ha vinto la sensazione che votando per lui si sarebbe avverato un sogno.
E’ stata una campagna elettorale strepitosa, sopra ogni immaginazione, nonché la più costosa nella storia degli Stati Uniti d’America (circa 2,5 miliardi di dollari).

Non sono stato d’accordo con molte delle cose proposte da Obama in questa campagna elettorale, non lo avrei votato, ma sono stato comunque soddisfatto nel vederlo arrivare alla Casa Bianca. L’America aveva la possibilità di scegliere fra due volti nuovi e in gamba, entrambi degni di guidare il proprio paese. L’indecisione era elevata, la gente si chiedeva chi sarebbe stato il miglior presidente. Un bel sogno per noi italiani che abbiamo sbirciato invidiosi ma estasiati.

Ieri nel suo primo discorso da presidente Obama ha detto: ”Se c’è qualcuno là fuori che ancora dubita che gli Stati Uniti siano un posto in cui tutto è possibile e, che dubita che il sogno dei nostri fondatori sia ancora vivo, che si interroga sul potere della nostra democrazia: questa notte ha avuto una risposta”. E’ straordinariamente vero e lui ne è la testimonianza. L’America ha vinto, dimostrando ancora una volta che il progresso, come sempre, passa prima per quella terra.

Adesso però il sogno è finito. E già bisogna riaprire gli occhi e affrontare la realtà. Sono sicuro che molti dei suoi sostenitori europei rimarranno delusi quando Barack "il buono", tolta la veste del retore ammaliatore, comincerà a fare il presidente degli Stati Uniti d'America.

domenica 26 ottobre 2008

Incrociamo le dita...



Christian Rocca sul Foglio di oggi fa ben sperare.

"Il New York Times sostiene Barack Obama. Incrociamo le dita, perché è il giornale che nel 1940 si è schierato contro Franklin Delano Roosevelt, nel 1948 contro Harry Truman, nel 1980 e nel 1984 contro Ronald Reagan (e ultimamente contro George W. Bush). Ora immaginiamoci il mondo senza Roosevelt, Truman, Reagan (e Bush) a toglierci dai guai."

martedì 21 ottobre 2008

Venerdì 17


Questa è la pontina vista dalla macchina del buon Giorgio Venderdì 17.
Roma - Latina: partenza ore 12:30; arrivo ore 16.

Io non sono superstizioso, porta sfortuna.

giovedì 25 settembre 2008

Elezioni americane - Domani il primo round




Il primo dibattito televisivo tra i due candidati alla Casa Bianca sarà sulla politica estera. Buona visione.

venerdì 19 settembre 2008

Evvai, siamo falliti...!



Adesso l'Italia rischia di rimanere senza la sua linea aerea.

Il commento di Nicola Porro su Il Giornale di oggi è perfetto.

lunedì 15 settembre 2008

Uno spot, uno stile, un presidente




Si è vero McCain non è in grado di mandare una mail. Ma non perchè è arretrato o antimoderno, semplicemente, perchè non può. Dopo essere stato torturato per cinque anni e mezzo in Vietnam, aver subito il supplizio della corda, si ritrova oggi con le spalle disarticolate e, oltre a far difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a pettinarsi, eccetera, fatica a digitare su una tastiera. Quando si dice agire con tatto... Complimenti a Barack Obama & soci per lo stile e la garbatezza. Chapeau!

giovedì 11 settembre 2008

11 Settembre 2001


Ero a casa di un mio amico quel pomeriggio dell’11 settembre 2001. Sei ore di fuso orario ci separavano da quella tragica mattinata newyorkese. Avevo 17 anni, ero un ragazzino.
Ancora non potevo immaginare quanto quell’avvenimento avrebbe cambiato la mia vita. Capii che qualcosa di grave era accaduto quando vidi le Torri fumanti praticamente su tutti i canali della tv. L’11 settembre lo conservo nel cuore e nella mente. Posso ancora sentire quel senso di smarrimento che c’era nell’aria. Il cielo era sereno, ma a noi sembrava surreale. Quando uscimmo per raggiungere gli altri, al nostro solito luogo d’incontro, percepii un senso di strana angoscia dentro di me. Non era lo stesso posto di sempre. C’era qualcosa che lo rendeva diverso e tristemente speciale. Quelle immagini impressionanti erano il centro della nostra discussione. Quel giorno, ne sono sicuro, non è passato senza lasciare traccia, ha contribuito a plasmare la mia coscienza, ad accendere i miei interessi e a farmi puntare lo sguardo sul mondo con meno superficialità. Compresi che la vita era capace di sconvolgerti. Quello che stava accadendo oltrepassava la mia piccola e comoda realtà e mi obbligava a crescere. Ognuno di noi conserva un ricordo particolare dell’11 settembre 2001.

Un ricordo che non dovrebbe mai perdere il carattere collettivo. Non era solo l’America il bersaglio dei terroristi, ma la sua cultura, la sua religione, i suoi valori che sono essenzialmente i nostri stessi valori. E, infatti, il terrorismo ha colpito poi anche in Spagna, in Inghilterra e “in tutti quei paesi arabi che non si vogliono piegare all’Islam radicale” (come ricorda Giuseppe De Bellis su Il Giornale di oggi). Quelle Torri che sfioravano il cielo, non erano solo un simbolo della forza e della vivacità economica statunitense, erano innanzitutto un simbolo di libertà. E, assieme al pentagono, erano la sintesi della cultura occidentale, dove il principale compito dello Stato liberale e democratico è quello di difendere e garantire le libertà individuali, i diritti civili, e quindi la nostra sicurezza. Quel giorno le conquiste della nostra civiltà furono apertamente minacciate, e nel modo più vile e feroce, una nazione venne messa in ginocchio, e con lei tutti i paesi che in quegli stessi valori si riconoscevano, ebbero la sensazione di non essere più al sicuro. Già il giorno successivo, però, il presidente Bush annunciava al mondo che l’America non si sarebbe arresa di fronte alla cultura della morte, ma avrebbe reagito e stanato i responsabili di quell’immane tragedia schierandosi in prima linea nella guerra contro il terrorismo islamico e, assieme ai suoi amici e alleati, avrebbe lottato per garantire la pace e la sicurezza nel mondo. Mantenne la parola data.

Come tutti gli avvenimenti sconvolgenti, come tutti gli orribili episodi che vanno oltre la nostra immaginazione per livello di disumanità, su quel giorno e su quell’attentato terroristico, non ci siamo fatti mancare nessun tipo di fantasticheria. L’esercito dei complottisti aveva di nuovo un motivo per mettersi in marcia. Diverse convinzioni finivano per alimentare altrettante congetture che portarono alle più svariate conclusioni. Ognuna a suo modo suggestiva ed intrigante, ma tutte avversarie della realtà. La realtà era lì, evidente, come il dramma che vissero tutti i cittadini americani e lo strazio che dovettero patire i parenti delle vittime. E’ stato un istinto naturale quello di unirsi al dolore di quel popolo e provare tristezza e compassione per tutti quelli che morirono, così atrocemente, in una qualsiasi mattina di settembre.
Sono passati sette anni da quella strage che ha cambiato il corso della storia e in qualche modo la vita di tante persone nel mondo, ed oggi, questo racconto lo voglio dedicare a tutti gli americani e a tutti quelli che credono nei valori della libertà e dell’uguaglianza, per non dimenticare che l’11 settembre 2001 venne dichiarata guerra non agli Stati Uniti ma a tutti i paesi liberi. Quel giorno ci sentivamo giustamente “tutti americani”. Dobbiamo continuare ad esserlo per non rinnegare noi stessi e quello in cui crediamo. God Bless America!

mercoledì 10 settembre 2008

Siamo americani...


"Combatterò per la mia causa ogni giorno come vostro presidente. Combatterò per essere sicuro che ogni americano abbia tutte le ragioni per ringraziare Dio, come io Lo ringrazio: perché sono americano, un cittadino orgoglioso del più grande paese della terra, e con un duro lavoro, una fede forte e un po’ di coraggio, le cose grandi sono sempre alla nostra portata. Combattete con me. Combattete con me. Combattete per quello che è giusto per il nostro paese. Combattete per gli ideali e il carattere delle persone libere. Combattete per il futuro dei nostri figli. Combattete per la giustizia e le opportunità per tutti. Alzatevi in piedi per difendere il nostro paese dai suoi nemici. Alzatevi in piedi gli uni per gli altri, per la bella, benedetta, generosa America. Alzatevi, alzatevi, alzatevi e combattete. Nulla è inevitabile qui. Siamo americani e non ci arrendiamo mai. Non molliamo mai. Non ci nascondiamo mai dalla storia. Noi facciamo la storia". (John S. McCain, St. Paul).

venerdì 5 settembre 2008

Elezioni Americane - Beautiful (Mc)Day




Saint Paul (Minnesota) - Ieri è stato il giorno di John S. McCain. Ha fatto capire all'America di che pasta è fatto, ha dimostrato a tutti che non è facile batterlo, metterlo ko. L'icona pop democratica, Barack Obama, capace di galvanizzare le frange più sognatrici del paese, con la sua bella retorica e il suo fascino hollywoodiano, ancora non è riuscito ad annichilire un avversario come John McCain. E a questo punto anche i cosiddetti sondaggisti si guardano smarriti. Infatti solo due giorni fa, secondo un sondaggio pubblicato anche dal New York Times e apparso sul sito della Cbs, i due candidati erano in pareggio, ma McCain doveva ancora pronunciare il suo discorso. McCain è riuscito nell'impresa di conquistare il timone del partito conservatore anche se è sempre stato considerato il meno ortodosso fra i candidati repubblicani. Adesso è pronto per conquistare l'intera nazione che, nel frattempo, sembra già avere un debole per la straordinaria rivelazione Sarah Palin, la mamma più tosta d'America. La vera sfida comincia solo adesso. Ma Sarah ne è sicura John McCain "sa come si vincono le battaglie difficili".

venerdì 29 agosto 2008

Elezioni Americane - John assesta il colpo: Sarah Palin vice presidente!




Sarah Palin, governatrice prostestante (pro life) dell’Alaska, 44 anni (più giovane di Obama) e madre di cinque figli, è stata scelta da John McCain come vicepresidente per il Partito repubblicano nella corsa alla Casa Bianca.

Qui sotto il ritratto che le ha fatto Il Foglio il 24 aprile 2008:

Diventare mamma per la quinta volta, portare avanti la gravidanza nonostante quella frase pronunciata dai medici, “suo figlio ha la sindrome di Down”, che in America convince otto donne su dieci a scegliere l’aborto. E’ la storia di Sarah Palin, governatrice repubblicana dell’Alaska e moglie di Todd, di mestiere pescatore. Il lieto evento doveva capitare a metà maggio ma Trig Paxson Van, questo il nome del nuovo nato, ha deciso di venire al mondo qualche settimana prima. Così, alle sei e mezza del mattino di venerdì, ha visto l’alba dal Mat-Su Regional Medical Center di Wasilla. Peso alla nascita: due chili e settecento grammi. Tre giorni dopo la neomamma era già in ufficio a lavorare. La governatrice non prenderà il congedo maternità, porterà il piccolo con sé al lavoro e chiederà soltanto i giorni necessari per le visite pediatriche. Sarah sapeva da tempo che avrebbe avuto un bambino Down. Avrebbe potuto pensare all’aborto perché non è facile portare a termine una gravidanza così quando hai già quattro figli, le candeline sulla torta di compleanno sono 44 e John McCain, candidato repubblicano alla Casa Bianca, ti strizza l’occhio per una possibile vicepresidenza. Perché complicarsi la vita? Che non sia stata una scelta facile lo ha dichiarato lei stessa alla stampa martedì. La governatrice ha parlato con serenità. “Quando ce l’hanno detto per la prima volta – ha spiegato – Siamo rimasti confusi perché sono queste le notizie che richiedono impegno”.
Non ha nascosto di essersi sentita male all’inizio, ma è stato un attimo perché quando si è guardata attorno ha trovato la sua famiglia. Il marito, i quattro figli e una schiera di parenti che le sono stati accanto sin dall’inizio. Ecco il segreto della felicità spiegato dai coniugi Palin mentre fanno conoscere Trig al paese, papà Todd che lo tiene in braccio e mamma Sarah che sistema un cappelletto di lana sulla testa del bebè. “Trig è bellissimo e già lo adoriamo – ha detto – Abbiamo saputo dai test fatti durante la gravidanza che sarebbe stato un impegno speciale, ma siamo onorati che Dio ci abbia scelto facendoci questo regalo. Crediamo che ogni bambino venga al mondo per un buon motivo e ne siamo veramente orgogliosi”. Track, il figlio più grande, ha appreso la notizia della nascita dalla tv perché sta facendo il servizio militare in Georgia. “E’ fantastico – ha scritto alla mamma – Finalmente ho un fratello maschio”.
I tre nomi del nuovo nato hanno una storia speciale. Trig è una parola di origine vichinga che significa “verità” e “vittoria coraggiosa”. Paxson è una minuscola cittadina che Sarah e Todd definiscono “il posto più bello dell’Alaska”. Van è un omaggio a uno dei gruppi musicali più famosi degli anni Ottanta, i Van Halen, di cui Sarah era una grande fan. Non è l’unica stranezza della governatrice repubblicana. Ghiotta di hamburger alla carne di renna, ha ammesso di aver fumato in gioventù marijuana (anche se non le è piaciuta) e non ha mai fatto mistero di avere una passione per il mondo della moda. A gennaio Vogue ha pubblicato alcune foto di Sarah incinta di cinque mesi. Le copertine le piacciono da quando è ragazza: nel 1984, quando aveva vent’anni, è stata eletta Miss Wasilla e ha partecipato alle finali di Miss Alaska. Ma Sarah Palin è soprattutto un politico di razza e non è un caso che si parli di lei per un possibile ticket alla Casa Bianca con John McCain. I figli, grazie a un marito sempre presente, non sono mai stati un ostacolo alla sua carriera. Niente l’ha fermata, neppure la prima gravidanza, arrivata quando aveva 25 anni ed era fresca di laurea in giornalismo. Nel 2006, a 42 anni e già quattro volte mamma, ha preso la guida dell’Alaska diventando la più giovane governatrice nella storia degli Stati Uniti e la prima donna a ricoprire questa carica nello stato. Giovedì scorso, il giorno prima che Trig nascesse, Sarah era a Dallas per partecipare a una conferenza sull’energia che vedeva riuniti i governatori di sei stati a guida repubblicana. Ad accompagnarla c’era Todd. L’incontro procedeva senza problemi quando le si rompono in parte le acque. Sarah riesce a fare il suo intervento di trenta minuti, poi sale sul primo aereo diretto a Wasilla. Niente di speciale, dice lei, neanche il volo verso casa: l’Alaska Airlines è una delle uniche compagnie che non pone limiti per i viaggi alle donne in gravidanza.

lunedì 25 agosto 2008

Non si può biasimare gli atleti


L’avevamo scritto su questo blog: attendavamo un gesto che potesse interrompere quella perfezione quasi asfissiante dell’organizzazione olimpica cinese in nome di qualche cosa di più importante. In nome del rispetto dei diritti umani; della libertà d’espressione e quindi di professare liberamente la propria fede religiosa; in nome di un signore mite vestito di rosso che si chiama Dalai Lama; in nome del suo popolo e della sua cultura che rischia di svanire per sempre all’ombra del grigio cielo pechinese. Attendavamo che qualcosa (qualcuno) si muovesse non per una generale voglia di sensazionalismi ma perché pensavamo che si potesse, anzi si dovesse, sottolineare il fatto che l’universalità dei giochi olimpici, lo spirito di fraterna sportività che li muove, sia in profonda contraddizione con quanto detto sopra. Contro l’ipocrisia delle false virtù, in modo composto, ma fermo, qualcosa in più si poteva pure fare, convinti che gli atleti certo non potevano sopperire a universali esigenze etiche, quando i loro governi in primis, più o meno avidamente, non ci avevano badato.

Sembra che le autorità cinesi siano riuscite a gestire “al meglio” questa manifestazione, ed è già un passato molto remoto il giorno in cui il Dalai Lama (18 agosto scorso) accusava l’esercito cinese di aver sparato sulla folla nella regione di Kham, nell’est del Tibet. Niente si è più saputo. Le luci si sono spente ormai. Tutto passato. E le intimidazioni, gli arresti, gli abusi, le violenze nei confronti dei dissidenti, attivisti e religiosi? Tutto passato. Le leggi speciali per le Olimpiadi che imponevano «rieducazione attraverso il lavoro» a chi scambiava parole di troppo con gli stranieri? Passate anche quelle. Rivediamo le immagini commoventi delle vittorie, le medaglie d’oro e quei pazzi record ai limiti del possibile.

Liu Qi, presidente del comitato organizzatore, colui che aveva garantito completa libertà di informazione, ha ringraziato il Cio e ha poi dichiarato che «atleti di 204 Paesi hanno gareggiato dando il meglio di se stessi in un ambiente di sportività. Il mondo necessita ora di collaborazione e sviluppo armonioso. L’Olimpiade di Pechino ha testimoniato che il mondo ha riposto fiducia nella Cina».
E la risposta del presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), Jacques Rogge, è stata questa: «Sono stati giorni meravigliosi. Attraverso questi Giochi il mondo ha imparato qualcosa sulla Cina e la Cina ha imparato qualcosa sul mondo». No, non si può assolutamente biasimare gli atleti.

lunedì 28 luglio 2008

Pechino 2008 - Natalia A. ci spiega perché le Olimpiadi non sono solo un gioco


La tragedia del Tibet non è solo un fatto di cronaca recente. Nel 1950 la Repubblica Polopare Cinese invase e occupò il Tibet violando qualsiasi legge internazionale. Il Dalai Lama, dopo la repressione violenta della rivolta del ’59, fu costretto a fuggire e a chiedere asilo politico in India dove si stabilì e costituì il governo tibetano in esilio.
Nel 1959, 1961 e 1965, l’Onu approvò tre risoluzioni a favore del Tibet perché cessasse la violazione dei diritti umani. Tuttavia, fino a pochi mesi fa, buona parte dell’opinione pubblica,
sembrava aver dimenticato, o non conoscere affatto, la situazione in cui il popolo tibetano era precipitato.
Poi qualcosa è cambiato, la torcia olimpica è partita per il suo viaggio verso la Cina per "BEIJING 2008" e l’Occidente ha iniziato a posare lo sguardo su quella parte di mondo, e sulla protesta pacifica dei monaci tibetani, la più grande dal 1989.
Davanti tanta violenza quella del boicottaggio è sembrata a molti la soluzione migliore e sono partite decine di campagne per sostenerla. Ma non è così. Sarebbe solo l’ulteriore gesto ipocrita di un Occidente che parla si di boicottaggio, ma continua a fare affari e a dipendere economicamente dalla Cina. Non è la prima volta che le Olimpiadi vengono affiancate alla politica.
Era il 1968 e a Città del Messico, Tommie Smith e Lee Evans salirono sul podio a piedi nudi e a testa bassa, mentre riecheggiavano nello stadio le note dell’inno americano e innalzarono il loro pugno chiuso. Il loro gesto di protesta fece il giro del mondo e scosse la comunità internazionale. E da quel giorno qualcosa cambiò per molti giovani afroamericani. Quegli atleti protestarono per i loro fratelli e in ricordo delle vittime della discriminazione razziale.

Chissà se anche quest’anno una corsa, un lancio oppure una vittoria non diventino un pretesto per coinvolgere il mondo, un motivo in più per tirar fuori il Tibet da quell'assordante solitudine.

Natalia A.

mercoledì 23 luglio 2008

Da leggere e diffondere!

Salvatore Crisafulli: durante i miei anni di stato vegetativo sentivo di aver fame e sete.

Questo articolo, tratto da www.ilsussidiario.net, è di Salvatore Crisafulli, l'uomo che si trova in uno stato simile a quello di Eluana Englaro e che è riemerso dallo stato vegetativo grazie all'affetto dei suoi cari.

La Sentenza di Morte emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi, cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi: mi chiedo cosa ne sanno i Tribunali e la Scienza Medica dello Stato Vegetativo? Di cosa si sono accertati? Esistono dei parametri e dei criteri validi per confermarne l'irreversibilità? Assolutamente no. Rimango scioccato dal duello che appare solamente tra il Signor Englaro e la Chiesa, e noi protagonisti direttamente coinvolti, nulla di tutto ciò. Staccare il sondino che porta l'alimentazione sarà una morte veramente atroce, la definirei alquanto orribile. La definizione di Stato Vegetativo permanente si riferisce invece a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore. Non esistono tutt’oggi validi criteri per accertare l'irreversibilità del Coma e dello Stato Vegetativo. Prova schiacciante senza ombra di dubbio è la mia storia, quest'ultima confermata anche da Bob Schindler fratello di Terri Schiavo. Oggi ho quasi 43 anni, sono stato vittima di uno spaventoso incidente stradale (come Eluana Englaro Glaswos Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l’11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi che interessavano anche la ragione ponto-mesencefalica entrando in coma, successivamente trapassando lo stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni, incredibilmente nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto. Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perché riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono portatore di PEG). Io sentivo ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio stesso corpo, proprio come lo sono oggi. Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un “vegetale” e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente. Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, e iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente e irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano. Io riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Oggi a distanza di quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked.in “uomo incatenato”. La mia storia la raccontai anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo “inutilmente” di lottare per la vita. Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo. Questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente una sentenza agghiacciante: se applicata, si inizia la nuova era dell'eutanasia con l'eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere. Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio. Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? La mia famiglia sfidava la scienza e la statistica dei grandi numeri svenandosi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. Urlando in Tv (Porta a porta e similari) minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono. Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico da avvizzita foglia d’insalata? Cara Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi, né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi “esperti” di qualità di vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui. Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza. Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Signor Presidente della Repubblica, solo il suo intervento (ma con i fatti) potrà evitare ulteriori richieste di eutanasia, in alternativa ordini di chiudere tutti i reparti di rianimazione.

(Salvatore Crisafulli)

Dal blog uomovivo.blogspot.com. Il blog Chestertoniano.

sabato 19 luglio 2008

Eluana è viva


C’è una cosa che probabilmente è poco chiara ai più: Eluana Englaro è viva. E’ viva altrimenti non ci sarebbe stata quella sentenza del tribunale di Milano che, pur carente dal punto di vista giuridico, autorizza a lasciarla morire di fame e di sete. E’ viva, oggettivamente, secondo la scienza biologica e secondo la ragione più elementare: finché non si è morti si è vivi. E’ viva perché respira da sola. Muove gli occhi e ogni tanto sembra che voglia parlare.

Per taluni questa non può essere considerata vita: Eluana, contro ogni evidenza, sarebbe già morta. Ma non pensano al fatto che Eluana come tutti gli esseri umani resisterebbe per qualche tempo senza mangiare e bere. Poi come tutti cederebbe. Poi si, morirebbe.
Secondo altri questa non sarebbe una vita vissuta in modo naturale. E allora mi domando e vi domando: è forse naturale che un paraplegico viva e possa muoversi grazie alla sua carrozzella? È forse naturale che un uomo con problemi cardiaci possa vivere solo grazie al suo pacemaker? Mario Melazzini, malato di Sla, ha rilasciato un'intervista, al quotidiano online ilsussidiario.net, sostenendo il diritto alla vita di Eluana. La sua vita che dipende da un sondino non è naturale? Che cosa significa allora "naturale"? Quale sarebbe una vita naturale? Quale quella degna di essere vissuta?

A me questa cultura della morte fa orrore. Sapere che qualcuno possa giudicare e stabilire chi debba vivere e chi no questo è il nichilismo valoriale.
La vita e la morte appartengono intrinsecamente alla persona e nessuno ha il diritto di prenderne possesso e sostituirsi al Divino. Nessuno.
Questo è quanto: forse – speriamo che ci sia ancora qualche possibilità per lei – presto in Italia sarà uccisa una ragazza con l’autorizzazione del tribunale.

Qui sotto l’appello dei neurologi e l’intervento dei professori di diritto penale (da Il Foglio.it):

venerdì 18 luglio 2008

Quello americano è il peggior sistema sanitario. Esclusi tutti gli altri.

"Quello americano è il peggior sistema sanitario, esclusi tutti gli altri". Dice Grace-Marie Turner, presidente del Galen Institute e consigliere della Casa Bianca, a Roma per due eventi dell'Istituto Acton e dell'Istituto Bruno Leoni: "Negli Usa non abbiamo un sistema sanitario nazionale coercitivo. E' questa la differenza con l'Europa". Nelle classifiche dell'Organizzazione nazionale della sanità, l'America arriva solo trentasettesima (prima la Francia, seconda l'Italia). "Dipende da cosa si vuole misurare - spiega Turner - l'Oms valuta l'obbligatorietà nel finanziamento ai sistemi sanitari, non la performance". I non assicurati (circa 47 milioni) non sono privi di assistenza sanitaria "L'accesso alla sanità è universale, ma il governo copre le spese solo a chi davvero ne ha bisogno". Qual è l'identikit dei non assicurati? "Appartengono principalmente a tre gruppi: gli immigrati clandestini, i disoccupati, e coloro che non desiderano assicurarsi". I primi non sono certo un'eccezionalità Usa. "Spesso i Paperoni scelgono di non assicurarsi, e neppure sono coperti dai programmi di assistenza pubblica, che sono rivolti ai poveri e agli anziani. Negli Stati Uniti non tassiamo i poveri per pagare le cure ai ricchi".
Infine, i disoccupati. [...] "L'assicurazione - ragiona Turner - è collegata al posto di lavoro. In una società dinamica (negli Usa ogni anno 4 americani su 10 cambiano mestiere) questo crea effettivamente delle difficoltà. La disoccupazione, tuttavia, dura al massimo pochi mesi, per cui è vero che circa la metà dei 47 milioni di non assicurati appartiene a questa categoria, ma si tratta di persone che ben presto torneranno a guadagnarsi una copertura. In ogni caso, la risposta a questa sfida non viene dall'estensione dell'intervento pubblico, ma da provvedimenti di mercato come la portabilità delle polizze o gli incentivi fiscali al risparmio sanitario". [...] "è vero che spendiamo più degli europei (circa il 16 per cento del Pil contro l'8 per cento dell'Italia) ma questo riflette la preferenza degli americani per un sistema sanitario che sia sempre all'avanguardia. Faccio un esempio: accorciare le liste d'attesa costa, ma è una spesa che affrontiamo volentieri". [...] Un recente studio ha dimostrato che la probabilità di sopravvivere almeno 5 anni per una donna a cui sia stato diagnosticato un tumore al seno è del 75 per cento negli Usa, del 50 per cento in Gran Bretagna. D'altronde, se il nostro sistema sanitario fosse davvero così scadente, perchè mai gli europei verrebbero a farsi curare in America e non viceversa, come ha fatto [...] anche Silvio Berlusconi?".

(Ho riportato ampi stralci dell'intervista pubblicata da Il Foglio il 27/09/07)

LA CLASSIFICA DELL'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA': il prof. Spandonaro spiega perchè non è attendibile.

Il Servizio nazionale italiano al secondo posto nel mondo, subito dietro quello francese? Una balla. "Una classifica sbugiardata. Tanto che la stessa Organizzazione mondiale della sanita', che l'aveva stilata, l'ha poi rinnegata almeno in parte". A confutare in maniera netta una notizia che aveva inorgoglito molto i politici italiani, e convinto poco i cittadini della penisola, e' Federico Spandonaro, coordinatore del Ceis-sanità, il gruppo di ricerca sul Ssn della facoltà di Economia dell'università Tor Vergata di Roma. "Le classifiche generalizzate non hanno grande valore. Meglio sarebbe andare a valutare singoli aspetti di una organizzazione tanto vasta e complessa come e' quella sanitaria di una nazione. E forse l'unico vero indicatore in grado di misurare la bonta' o meno di un sistema sanitario e' quello del gradimento dei cittadini".

Un parametro che pero', spiega all'Adnkronos salute l'esperto, "non conferma il giudizio espresso dall'Oms. Secondo i dati diffusi dall'Eurobarometro, una sezione della Commissione europea che analizza l'opinione degli abitanti della Ue - dice Spandonaro - il gradimento maggiore, in Europa, e' quello dei danesi. Mentre l'Italia figura agli ultimi posti insieme al Portogallo". [...] Secondo l'Oms, la buona posizione del Ssn sarebbe dovuta principalmente a due aspetti: l'aspettativa di vita della popolazione, e l'uguaglianza tra cittadini nell'accesso ai servizi offerti. "Ma come si fa ad attribuire i meriti della longevita' del Belpaese al Servizio sanitario nazionale? Forse - ironizza Spandonaro - sono altre le ragioni di questo risultato: la dieta mediterranea, il sole?"[...].

Per visualizzare il testo completo clicca qui sotto:

martedì 15 luglio 2008

Un interrogativo laico sul caso Eluana Englaro

Eluana Englaro, per una decisione della Corte d’appello del tribunale civile di Milano, non sarà più alimentata. Sarà lasciata morire di fame e di sete.

Penso che questa decisione, che per altro contrasta con altre sentenze precedenti, sia profondamente sbagliata.
Tutte le vite sono degne di essere vissute e non vorrei mai che un tribunale decidesse al posto mio sulla base di frasi pronunciate decenni prima. "Io sono adesso". Solo su questo principio si dovrebbe ritenere attendibile la mia volontà che può cambiare e rinnovarsi. Non ho gli stessi convincimenti di 16 anni fa. Sono una persona diversa. Nessuno può decidere per me. Mai. Tantomeno domani per quello che ho detto oggi.

La vita è vita sempre. La condizione di stato vegetativo è una condizione vitale. Non permette di avere relazioni con l'esterno. Ma quando parliamo di stato vegetativo parliamo di una condizione di vita. Come ricorda Marco Barbieri sul Foglio: "la letteratura clinica è ricca di casi di uomini e donne che dopo periodi di “coma” come Eluana si sono incredibilmente risvegliati. Cioè hanno ripreso un contatto “interattivo” con il nostro mondo. Ma non è dato sapere “se” questo possa accadere. Né tantomeno è ipotizzabile immaginare “quando”.
Quando il termine "vita" diventa sinonimo di "qualità" cominciano i problemi veri. La soglia della qualità della vita degna di essere vissuta da chi viene stabilita? In base a che cosa?

A me pare che questo sia un interrogativo molto laico.


lunedì 14 luglio 2008

Coca-Cola: è solo una bevanda?

Partiamo da qui: dal Marchio per eccellenza. Dal simbolo Coca-cola. E' solo una bevanda? Ecco cosa si legge su Wikipedia:

Il celebre logo della Coca-Cola, il più noto al mondo, fu creato con scarsa attenzione nel 1886 dal contabile dell'azienda, Frank Mason Robinson, che fece solo alcuni piccoli ritocchi alla scritta, utilizzando come base il carattere Spencerian Script, che in quel tempo, negli Stati Uniti era fra i più comuni ed utilizzati.

Si lega a questo logo una leggenda metropolitana che si è diffusa piuttosto rapidamente nel mondo: sembra che osservando la scritta Coca-Cola allo specchio sia possibile interpretare l'immagine come una frase in lingua araba che recherebbe un messaggio contro la cultura islamica, "No a Maometto, No alla Mecca". In realtà è improbabile che al momento della creazione di questo logo, quando ancora non esisteva la multinazionale The Coca-Cola Company e nessuno si sarebbe aspettato il successo a livello mondiale che la bevanda avrebbe riscosso, si pensasse di inserire un simile messaggio all'interno del celebre logo. Anche il Grand Mufti Sheik Nasser Farid Wassel, importante figura religiosa egiziana, ha commentato questi fatti facendo notare come questo marchio fu scritto in caratteri latini e non arabici più di un secolo fa; è dunque una voce che ha soltanto danneggiato la multinazionale, con un forte calo delle vendite registrato in alcuni paesi islamici.





Secondo quanto scrive Eugenio Buzzetti (IlGiornale): "La polemica non è nuova: ha ripreso a girare con frequenza nelle ultime ore sul sito di social networking Facebook. Tornano le teorie del complotto attorno al celebre marchio americano, fomentate dagli islamici più radicali [...] "Lo scorso anno, una nuova accusa è piombata sulla bibita americana: è alcolica, quindi non in linea con i principi dell’islam. Sul sito «Quibla» è riportata una nota ufficiale della società: «Vi confermiamo che le bevande rinfrescanti senza alcol possono contenere piccole tracce di alcol provenienti dagli aromi utilizzati». La Coca-Cola specifica che si tratta di una percentuale minima: soltanto 1,2 gradi, ovvero la «soglia legale per le bevande senza alcool». Non basta e per i fondamentalisti islamici bisogna boicottare la bibita. Su Internet invitano alla mobilitazione: «Che i più responsabili avvertano le loro famiglie, gli amici, le moschee, tutti i venditori di kebab e le macellerie islamiche». Per la bevanda più diffusa al mondo, ma anche per le altre del gruppo come Fanta e Sprite, non c’è pace: la Coca-Cola resta un nemico, il simbolo dell’occidente consumista e infedele. Non importa che sia venduta nei mercati di tutto il Medio oriente come in qualsiasi altra parte del mondo, o che abbia superato, come spiega la società, i «controlli rigorosi da parte del governo e delle autorità sanitarie di ogni Paese in cui i nostri prodotti sono commercializzati». I più intransigenti hanno addirittura ipotizzato la presenza di marijuana nella composizione segreta della celebre bevanda".

Ovviamente la folla dei complottisti è sempre numerosa e indomabile. Prima o poi, partendo dalla Coca-cola, arriveranno a spiegare gli attentati dell'11 settembre, l'Olocausto e chissà cos'altro ancora. Qual è la ragione che spinge alcuni individui a preferire sempre e comunque il complotto, le dietrologie, l'oscurità delle supposizioni piuttosto che la realtà? Io penso che la Coca-cola sia stata davvero un'invenzione straordinaria, con tutte le sue contraddizioni e i suoi lati negativi, ma comunque è e rimarrà una genialata. E' o no un motivo in più per rallegrarsi per il semplice fatto di essere nati dopo il 1886? L'anno zero dei complottisti.