Pubblico per intero, il commento di Giancarlo Loquenzi (tratto da l'Occidentale di oggi) sul neopresidente Obama. Merita una lettura disincantata:
"La stampa europea e italiana “mainstream” ci raccontava da settimane come fosse ormai finita l’era americana. Il mondo non avrebbe più avuto una sola potenza ma era ormai destinato a essere multipolare e libero dal condizionamento Usa. Ci spiegava anche che la crisi finanziaria era il segno del declino della superpotenza a stelle e strisce e che Barack Obama sarebbe stato il perfetto leader di questo declino.
Oggi scopriamo, soprattutto sulla stampa italiana ma anche nel mondo politico “democratico” che il cambio della guardia alla Casa Bianca “cambia il mondo”, anzi, di fatto l’ha già cambiato. Prendetevi i titoli di Repubblica, dell’Unità, o i manifesti del Pd in giro per le città: altro che declino americano, Obama non s’è neppure insediato che già una formidabile reazione a catena sprigiona i suoi effetti sul pianeta.
“Il mondo è cambiato” è il titolo a caratteri cubitali di Repubblica di oggi, lo stesso giornale dove Vittorio Zucconi faceva l’aedo del declino fino a ieri; ancora più assurda la prima pagina dell’Unità: la terra vista dalla luna (forse perché è da lì che scrivono) con la scritta “Nuovo Mondo”. “Il mondo nuovo” è il titolo dell’editoriale del Manifesto, mentre “Il mondo cambia” è il manifesto del Pd e affisso in ogni strada.
Insomma gli anti-americani di casa nostra, i pacifisti, quelli del “no blood for oil”, hanno improvvisamente decretato l’onnipotenza dell’America: ci siamo addormentati nel peggiore dei mondi possibile e ci siamo svegliati nel paradiso dei buoni e dei giusti.
Le cose ovviamente non stanno così. Il mondo e tale e quale a prima e l’Italia dell’obamamania è forse anche un po’ peggio di prima. Anche l’America non è veramente cambiata, almeno agli occhi di chi ha sempre saputo quello che Obama ha detto nel suo discorso dopo la vittoria: “Qui tutto è possibile”. E’ così ed è sempre stato così. L’elezione del primo presidente afro-americano ne è solo l’ultima dimostrazione.
Per accorgersi che l’America non è (per fortuna) cambiata bastava fare attenzione ad alcuni dettagli della grande festa per Obama al Grant Park di Chicago martedì notte sfuggiti alla stampa italiana. Quando ormai i risultati avevano già decretato la vittoria del senatore dell’Illinois e la folla aspettava trepidante l’arrivo sul palco del nuovo presidente è invece apparso un sacerdote con la bibbia sottobraccio. Si è avviato lentamente verso il microfono e davanti a 250.000 persone immediatamente silenziose ha pregato. Ha reso grazie a Dio per la vittoria di Obama e ha chiesto la sua benedizione per il presidente e per l’America. Poi si è girato e sempre senza alcuna esitazione è tornato dietro le quinte. Pochi istanti dopo è apparso un altro personaggio inatteso: un veterano che davanti alla stessa folla ha chiesto un pensiero di gratitudine per tutti i soldati americani che nei secoli hanno perso la vita per il loro paese. Poi ha recitato ad alta voce il pledge of allegiance, il giuramento di lealtà alla Patria: "I pledge allegiance to the flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands: one Nation under God, indivisible, With Liberty and Justice for all.". Le immagini televisive mostravano la gente ripeterlo a memoria. Alla fine, ma solo alla fine è entrata in scena la Famiglia Obama, Barack che teneva per mano la moglie e le sue due figlie.
Dio, Patria, Famiglia: i pilastri immutabili della società americana. Obama li ha evocati nel giorno della sua vittoria, senza retorica, senza enfasi, senza affettazione, ma come la più semplice e spontanea cerimonia di etica pubblica. Niente a che fare con il patriottismo posticcio dell’Inno d’Italia cantato al Circo Massimo del Pd o con la paura per “l’ingerenza vaticana” ogni volta che Dio viene richiamato nello spazio della politica.
L’America non è cambiata perché è sempre il luogo del cambiamento e della tradizione e della loro fertile e continua dialettica. Qualcuno si è accorto che la laicissima California ha bocciato l’idea che il matrimonio possa essere qualcosa di diverso che l’unione tra un uomo e una donna? E qualcuno sì accorto che il “nuovissimo” Obama non ha speso una parola per contrastare referendum che difendeva i matrimoni gay?
C’è un abisso tra l’Italia e l’America e c’è un abisso ancora più vasto tra il Pd e il Partito Democratico di Barack Obama. E nulla di tutto questo è cambiato."
Oggi scopriamo, soprattutto sulla stampa italiana ma anche nel mondo politico “democratico” che il cambio della guardia alla Casa Bianca “cambia il mondo”, anzi, di fatto l’ha già cambiato. Prendetevi i titoli di Repubblica, dell’Unità, o i manifesti del Pd in giro per le città: altro che declino americano, Obama non s’è neppure insediato che già una formidabile reazione a catena sprigiona i suoi effetti sul pianeta.
“Il mondo è cambiato” è il titolo a caratteri cubitali di Repubblica di oggi, lo stesso giornale dove Vittorio Zucconi faceva l’aedo del declino fino a ieri; ancora più assurda la prima pagina dell’Unità: la terra vista dalla luna (forse perché è da lì che scrivono) con la scritta “Nuovo Mondo”. “Il mondo nuovo” è il titolo dell’editoriale del Manifesto, mentre “Il mondo cambia” è il manifesto del Pd e affisso in ogni strada.
Insomma gli anti-americani di casa nostra, i pacifisti, quelli del “no blood for oil”, hanno improvvisamente decretato l’onnipotenza dell’America: ci siamo addormentati nel peggiore dei mondi possibile e ci siamo svegliati nel paradiso dei buoni e dei giusti.
Le cose ovviamente non stanno così. Il mondo e tale e quale a prima e l’Italia dell’obamamania è forse anche un po’ peggio di prima. Anche l’America non è veramente cambiata, almeno agli occhi di chi ha sempre saputo quello che Obama ha detto nel suo discorso dopo la vittoria: “Qui tutto è possibile”. E’ così ed è sempre stato così. L’elezione del primo presidente afro-americano ne è solo l’ultima dimostrazione.
Per accorgersi che l’America non è (per fortuna) cambiata bastava fare attenzione ad alcuni dettagli della grande festa per Obama al Grant Park di Chicago martedì notte sfuggiti alla stampa italiana. Quando ormai i risultati avevano già decretato la vittoria del senatore dell’Illinois e la folla aspettava trepidante l’arrivo sul palco del nuovo presidente è invece apparso un sacerdote con la bibbia sottobraccio. Si è avviato lentamente verso il microfono e davanti a 250.000 persone immediatamente silenziose ha pregato. Ha reso grazie a Dio per la vittoria di Obama e ha chiesto la sua benedizione per il presidente e per l’America. Poi si è girato e sempre senza alcuna esitazione è tornato dietro le quinte. Pochi istanti dopo è apparso un altro personaggio inatteso: un veterano che davanti alla stessa folla ha chiesto un pensiero di gratitudine per tutti i soldati americani che nei secoli hanno perso la vita per il loro paese. Poi ha recitato ad alta voce il pledge of allegiance, il giuramento di lealtà alla Patria: "I pledge allegiance to the flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands: one Nation under God, indivisible, With Liberty and Justice for all.". Le immagini televisive mostravano la gente ripeterlo a memoria. Alla fine, ma solo alla fine è entrata in scena la Famiglia Obama, Barack che teneva per mano la moglie e le sue due figlie.
Dio, Patria, Famiglia: i pilastri immutabili della società americana. Obama li ha evocati nel giorno della sua vittoria, senza retorica, senza enfasi, senza affettazione, ma come la più semplice e spontanea cerimonia di etica pubblica. Niente a che fare con il patriottismo posticcio dell’Inno d’Italia cantato al Circo Massimo del Pd o con la paura per “l’ingerenza vaticana” ogni volta che Dio viene richiamato nello spazio della politica.
L’America non è cambiata perché è sempre il luogo del cambiamento e della tradizione e della loro fertile e continua dialettica. Qualcuno si è accorto che la laicissima California ha bocciato l’idea che il matrimonio possa essere qualcosa di diverso che l’unione tra un uomo e una donna? E qualcuno sì accorto che il “nuovissimo” Obama non ha speso una parola per contrastare referendum che difendeva i matrimoni gay?
C’è un abisso tra l’Italia e l’America e c’è un abisso ancora più vasto tra il Pd e il Partito Democratico di Barack Obama. E nulla di tutto questo è cambiato."
1 commento:
hai proprio ragione.Vieni a visitare
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