lunedì 28 luglio 2008

Pechino 2008 - Natalia A. ci spiega perché le Olimpiadi non sono solo un gioco


La tragedia del Tibet non è solo un fatto di cronaca recente. Nel 1950 la Repubblica Polopare Cinese invase e occupò il Tibet violando qualsiasi legge internazionale. Il Dalai Lama, dopo la repressione violenta della rivolta del ’59, fu costretto a fuggire e a chiedere asilo politico in India dove si stabilì e costituì il governo tibetano in esilio.
Nel 1959, 1961 e 1965, l’Onu approvò tre risoluzioni a favore del Tibet perché cessasse la violazione dei diritti umani. Tuttavia, fino a pochi mesi fa, buona parte dell’opinione pubblica,
sembrava aver dimenticato, o non conoscere affatto, la situazione in cui il popolo tibetano era precipitato.
Poi qualcosa è cambiato, la torcia olimpica è partita per il suo viaggio verso la Cina per "BEIJING 2008" e l’Occidente ha iniziato a posare lo sguardo su quella parte di mondo, e sulla protesta pacifica dei monaci tibetani, la più grande dal 1989.
Davanti tanta violenza quella del boicottaggio è sembrata a molti la soluzione migliore e sono partite decine di campagne per sostenerla. Ma non è così. Sarebbe solo l’ulteriore gesto ipocrita di un Occidente che parla si di boicottaggio, ma continua a fare affari e a dipendere economicamente dalla Cina. Non è la prima volta che le Olimpiadi vengono affiancate alla politica.
Era il 1968 e a Città del Messico, Tommie Smith e Lee Evans salirono sul podio a piedi nudi e a testa bassa, mentre riecheggiavano nello stadio le note dell’inno americano e innalzarono il loro pugno chiuso. Il loro gesto di protesta fece il giro del mondo e scosse la comunità internazionale. E da quel giorno qualcosa cambiò per molti giovani afroamericani. Quegli atleti protestarono per i loro fratelli e in ricordo delle vittime della discriminazione razziale.

Chissà se anche quest’anno una corsa, un lancio oppure una vittoria non diventino un pretesto per coinvolgere il mondo, un motivo in più per tirar fuori il Tibet da quell'assordante solitudine.

Natalia A.

mercoledì 23 luglio 2008

Da leggere e diffondere!

Salvatore Crisafulli: durante i miei anni di stato vegetativo sentivo di aver fame e sete.

Questo articolo, tratto da www.ilsussidiario.net, è di Salvatore Crisafulli, l'uomo che si trova in uno stato simile a quello di Eluana Englaro e che è riemerso dallo stato vegetativo grazie all'affetto dei suoi cari.

La Sentenza di Morte emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi, cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi: mi chiedo cosa ne sanno i Tribunali e la Scienza Medica dello Stato Vegetativo? Di cosa si sono accertati? Esistono dei parametri e dei criteri validi per confermarne l'irreversibilità? Assolutamente no. Rimango scioccato dal duello che appare solamente tra il Signor Englaro e la Chiesa, e noi protagonisti direttamente coinvolti, nulla di tutto ciò. Staccare il sondino che porta l'alimentazione sarà una morte veramente atroce, la definirei alquanto orribile. La definizione di Stato Vegetativo permanente si riferisce invece a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore. Non esistono tutt’oggi validi criteri per accertare l'irreversibilità del Coma e dello Stato Vegetativo. Prova schiacciante senza ombra di dubbio è la mia storia, quest'ultima confermata anche da Bob Schindler fratello di Terri Schiavo. Oggi ho quasi 43 anni, sono stato vittima di uno spaventoso incidente stradale (come Eluana Englaro Glaswos Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l’11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi che interessavano anche la ragione ponto-mesencefalica entrando in coma, successivamente trapassando lo stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni, incredibilmente nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto. Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perché riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono portatore di PEG). Io sentivo ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio stesso corpo, proprio come lo sono oggi. Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un “vegetale” e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente. Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, e iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente e irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano. Io riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Oggi a distanza di quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked.in “uomo incatenato”. La mia storia la raccontai anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo “inutilmente” di lottare per la vita. Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo. Questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente una sentenza agghiacciante: se applicata, si inizia la nuova era dell'eutanasia con l'eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere. Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio. Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? La mia famiglia sfidava la scienza e la statistica dei grandi numeri svenandosi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. Urlando in Tv (Porta a porta e similari) minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono. Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico da avvizzita foglia d’insalata? Cara Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi, né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi “esperti” di qualità di vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui. Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza. Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Signor Presidente della Repubblica, solo il suo intervento (ma con i fatti) potrà evitare ulteriori richieste di eutanasia, in alternativa ordini di chiudere tutti i reparti di rianimazione.

(Salvatore Crisafulli)

Dal blog uomovivo.blogspot.com. Il blog Chestertoniano.

sabato 19 luglio 2008

Eluana è viva


C’è una cosa che probabilmente è poco chiara ai più: Eluana Englaro è viva. E’ viva altrimenti non ci sarebbe stata quella sentenza del tribunale di Milano che, pur carente dal punto di vista giuridico, autorizza a lasciarla morire di fame e di sete. E’ viva, oggettivamente, secondo la scienza biologica e secondo la ragione più elementare: finché non si è morti si è vivi. E’ viva perché respira da sola. Muove gli occhi e ogni tanto sembra che voglia parlare.

Per taluni questa non può essere considerata vita: Eluana, contro ogni evidenza, sarebbe già morta. Ma non pensano al fatto che Eluana come tutti gli esseri umani resisterebbe per qualche tempo senza mangiare e bere. Poi come tutti cederebbe. Poi si, morirebbe.
Secondo altri questa non sarebbe una vita vissuta in modo naturale. E allora mi domando e vi domando: è forse naturale che un paraplegico viva e possa muoversi grazie alla sua carrozzella? È forse naturale che un uomo con problemi cardiaci possa vivere solo grazie al suo pacemaker? Mario Melazzini, malato di Sla, ha rilasciato un'intervista, al quotidiano online ilsussidiario.net, sostenendo il diritto alla vita di Eluana. La sua vita che dipende da un sondino non è naturale? Che cosa significa allora "naturale"? Quale sarebbe una vita naturale? Quale quella degna di essere vissuta?

A me questa cultura della morte fa orrore. Sapere che qualcuno possa giudicare e stabilire chi debba vivere e chi no questo è il nichilismo valoriale.
La vita e la morte appartengono intrinsecamente alla persona e nessuno ha il diritto di prenderne possesso e sostituirsi al Divino. Nessuno.
Questo è quanto: forse – speriamo che ci sia ancora qualche possibilità per lei – presto in Italia sarà uccisa una ragazza con l’autorizzazione del tribunale.

Qui sotto l’appello dei neurologi e l’intervento dei professori di diritto penale (da Il Foglio.it):

venerdì 18 luglio 2008

Quello americano è il peggior sistema sanitario. Esclusi tutti gli altri.

"Quello americano è il peggior sistema sanitario, esclusi tutti gli altri". Dice Grace-Marie Turner, presidente del Galen Institute e consigliere della Casa Bianca, a Roma per due eventi dell'Istituto Acton e dell'Istituto Bruno Leoni: "Negli Usa non abbiamo un sistema sanitario nazionale coercitivo. E' questa la differenza con l'Europa". Nelle classifiche dell'Organizzazione nazionale della sanità, l'America arriva solo trentasettesima (prima la Francia, seconda l'Italia). "Dipende da cosa si vuole misurare - spiega Turner - l'Oms valuta l'obbligatorietà nel finanziamento ai sistemi sanitari, non la performance". I non assicurati (circa 47 milioni) non sono privi di assistenza sanitaria "L'accesso alla sanità è universale, ma il governo copre le spese solo a chi davvero ne ha bisogno". Qual è l'identikit dei non assicurati? "Appartengono principalmente a tre gruppi: gli immigrati clandestini, i disoccupati, e coloro che non desiderano assicurarsi". I primi non sono certo un'eccezionalità Usa. "Spesso i Paperoni scelgono di non assicurarsi, e neppure sono coperti dai programmi di assistenza pubblica, che sono rivolti ai poveri e agli anziani. Negli Stati Uniti non tassiamo i poveri per pagare le cure ai ricchi".
Infine, i disoccupati. [...] "L'assicurazione - ragiona Turner - è collegata al posto di lavoro. In una società dinamica (negli Usa ogni anno 4 americani su 10 cambiano mestiere) questo crea effettivamente delle difficoltà. La disoccupazione, tuttavia, dura al massimo pochi mesi, per cui è vero che circa la metà dei 47 milioni di non assicurati appartiene a questa categoria, ma si tratta di persone che ben presto torneranno a guadagnarsi una copertura. In ogni caso, la risposta a questa sfida non viene dall'estensione dell'intervento pubblico, ma da provvedimenti di mercato come la portabilità delle polizze o gli incentivi fiscali al risparmio sanitario". [...] "è vero che spendiamo più degli europei (circa il 16 per cento del Pil contro l'8 per cento dell'Italia) ma questo riflette la preferenza degli americani per un sistema sanitario che sia sempre all'avanguardia. Faccio un esempio: accorciare le liste d'attesa costa, ma è una spesa che affrontiamo volentieri". [...] Un recente studio ha dimostrato che la probabilità di sopravvivere almeno 5 anni per una donna a cui sia stato diagnosticato un tumore al seno è del 75 per cento negli Usa, del 50 per cento in Gran Bretagna. D'altronde, se il nostro sistema sanitario fosse davvero così scadente, perchè mai gli europei verrebbero a farsi curare in America e non viceversa, come ha fatto [...] anche Silvio Berlusconi?".

(Ho riportato ampi stralci dell'intervista pubblicata da Il Foglio il 27/09/07)

LA CLASSIFICA DELL'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA': il prof. Spandonaro spiega perchè non è attendibile.

Il Servizio nazionale italiano al secondo posto nel mondo, subito dietro quello francese? Una balla. "Una classifica sbugiardata. Tanto che la stessa Organizzazione mondiale della sanita', che l'aveva stilata, l'ha poi rinnegata almeno in parte". A confutare in maniera netta una notizia che aveva inorgoglito molto i politici italiani, e convinto poco i cittadini della penisola, e' Federico Spandonaro, coordinatore del Ceis-sanità, il gruppo di ricerca sul Ssn della facoltà di Economia dell'università Tor Vergata di Roma. "Le classifiche generalizzate non hanno grande valore. Meglio sarebbe andare a valutare singoli aspetti di una organizzazione tanto vasta e complessa come e' quella sanitaria di una nazione. E forse l'unico vero indicatore in grado di misurare la bonta' o meno di un sistema sanitario e' quello del gradimento dei cittadini".

Un parametro che pero', spiega all'Adnkronos salute l'esperto, "non conferma il giudizio espresso dall'Oms. Secondo i dati diffusi dall'Eurobarometro, una sezione della Commissione europea che analizza l'opinione degli abitanti della Ue - dice Spandonaro - il gradimento maggiore, in Europa, e' quello dei danesi. Mentre l'Italia figura agli ultimi posti insieme al Portogallo". [...] Secondo l'Oms, la buona posizione del Ssn sarebbe dovuta principalmente a due aspetti: l'aspettativa di vita della popolazione, e l'uguaglianza tra cittadini nell'accesso ai servizi offerti. "Ma come si fa ad attribuire i meriti della longevita' del Belpaese al Servizio sanitario nazionale? Forse - ironizza Spandonaro - sono altre le ragioni di questo risultato: la dieta mediterranea, il sole?"[...].

Per visualizzare il testo completo clicca qui sotto:

martedì 15 luglio 2008

Un interrogativo laico sul caso Eluana Englaro

Eluana Englaro, per una decisione della Corte d’appello del tribunale civile di Milano, non sarà più alimentata. Sarà lasciata morire di fame e di sete.

Penso che questa decisione, che per altro contrasta con altre sentenze precedenti, sia profondamente sbagliata.
Tutte le vite sono degne di essere vissute e non vorrei mai che un tribunale decidesse al posto mio sulla base di frasi pronunciate decenni prima. "Io sono adesso". Solo su questo principio si dovrebbe ritenere attendibile la mia volontà che può cambiare e rinnovarsi. Non ho gli stessi convincimenti di 16 anni fa. Sono una persona diversa. Nessuno può decidere per me. Mai. Tantomeno domani per quello che ho detto oggi.

La vita è vita sempre. La condizione di stato vegetativo è una condizione vitale. Non permette di avere relazioni con l'esterno. Ma quando parliamo di stato vegetativo parliamo di una condizione di vita. Come ricorda Marco Barbieri sul Foglio: "la letteratura clinica è ricca di casi di uomini e donne che dopo periodi di “coma” come Eluana si sono incredibilmente risvegliati. Cioè hanno ripreso un contatto “interattivo” con il nostro mondo. Ma non è dato sapere “se” questo possa accadere. Né tantomeno è ipotizzabile immaginare “quando”.
Quando il termine "vita" diventa sinonimo di "qualità" cominciano i problemi veri. La soglia della qualità della vita degna di essere vissuta da chi viene stabilita? In base a che cosa?

A me pare che questo sia un interrogativo molto laico.


lunedì 14 luglio 2008

Coca-Cola: è solo una bevanda?

Partiamo da qui: dal Marchio per eccellenza. Dal simbolo Coca-cola. E' solo una bevanda? Ecco cosa si legge su Wikipedia:

Il celebre logo della Coca-Cola, il più noto al mondo, fu creato con scarsa attenzione nel 1886 dal contabile dell'azienda, Frank Mason Robinson, che fece solo alcuni piccoli ritocchi alla scritta, utilizzando come base il carattere Spencerian Script, che in quel tempo, negli Stati Uniti era fra i più comuni ed utilizzati.

Si lega a questo logo una leggenda metropolitana che si è diffusa piuttosto rapidamente nel mondo: sembra che osservando la scritta Coca-Cola allo specchio sia possibile interpretare l'immagine come una frase in lingua araba che recherebbe un messaggio contro la cultura islamica, "No a Maometto, No alla Mecca". In realtà è improbabile che al momento della creazione di questo logo, quando ancora non esisteva la multinazionale The Coca-Cola Company e nessuno si sarebbe aspettato il successo a livello mondiale che la bevanda avrebbe riscosso, si pensasse di inserire un simile messaggio all'interno del celebre logo. Anche il Grand Mufti Sheik Nasser Farid Wassel, importante figura religiosa egiziana, ha commentato questi fatti facendo notare come questo marchio fu scritto in caratteri latini e non arabici più di un secolo fa; è dunque una voce che ha soltanto danneggiato la multinazionale, con un forte calo delle vendite registrato in alcuni paesi islamici.





Secondo quanto scrive Eugenio Buzzetti (IlGiornale): "La polemica non è nuova: ha ripreso a girare con frequenza nelle ultime ore sul sito di social networking Facebook. Tornano le teorie del complotto attorno al celebre marchio americano, fomentate dagli islamici più radicali [...] "Lo scorso anno, una nuova accusa è piombata sulla bibita americana: è alcolica, quindi non in linea con i principi dell’islam. Sul sito «Quibla» è riportata una nota ufficiale della società: «Vi confermiamo che le bevande rinfrescanti senza alcol possono contenere piccole tracce di alcol provenienti dagli aromi utilizzati». La Coca-Cola specifica che si tratta di una percentuale minima: soltanto 1,2 gradi, ovvero la «soglia legale per le bevande senza alcool». Non basta e per i fondamentalisti islamici bisogna boicottare la bibita. Su Internet invitano alla mobilitazione: «Che i più responsabili avvertano le loro famiglie, gli amici, le moschee, tutti i venditori di kebab e le macellerie islamiche». Per la bevanda più diffusa al mondo, ma anche per le altre del gruppo come Fanta e Sprite, non c’è pace: la Coca-Cola resta un nemico, il simbolo dell’occidente consumista e infedele. Non importa che sia venduta nei mercati di tutto il Medio oriente come in qualsiasi altra parte del mondo, o che abbia superato, come spiega la società, i «controlli rigorosi da parte del governo e delle autorità sanitarie di ogni Paese in cui i nostri prodotti sono commercializzati». I più intransigenti hanno addirittura ipotizzato la presenza di marijuana nella composizione segreta della celebre bevanda".

Ovviamente la folla dei complottisti è sempre numerosa e indomabile. Prima o poi, partendo dalla Coca-cola, arriveranno a spiegare gli attentati dell'11 settembre, l'Olocausto e chissà cos'altro ancora. Qual è la ragione che spinge alcuni individui a preferire sempre e comunque il complotto, le dietrologie, l'oscurità delle supposizioni piuttosto che la realtà? Io penso che la Coca-cola sia stata davvero un'invenzione straordinaria, con tutte le sue contraddizioni e i suoi lati negativi, ma comunque è e rimarrà una genialata. E' o no un motivo in più per rallegrarsi per il semplice fatto di essere nati dopo il 1886? L'anno zero dei complottisti.