venerdì 23 aprile 2010

La resa dei conti



La foto dello scontro è emblematica: il re che dall'alto della sua forza si scaglia verbalmente e col dito puntato contro il principe aspirante al trono, che si sbraccia, risponde stizzito alle accuse di tradimento, ma impotente (e senza microfono), torna a sedere, quando capisce che l'assemblea è ancora tutta (o quasi) con sua Maestà, Silvio Berlusconi. Era la resa dei conti. E i numeri parlano chiaro. Non c'è storia. Al massimo Fini può organizzare una pizza con i suoi fedelissimi, niente di più. Almeno per ora. Ma dopo esser stato così duramente e pubblicamente castigato, Fini, non può certo tornare all'ovile come se niente fosse successo. La prossima mossa tocca a lui.

giovedì 15 aprile 2010

Se la pedofilia diventa un'arma politica da utilizzare esclusivamente contro la Chiesa


Ogni tanto, specialmente quando si ricopre la carica di Segretario di Stato Vaticano, la cautela dovrebbe essere maggiore. Non si possono rilasciare simili dichiarazioni a cuor leggero. Le (dovute) precisazioni servono a ben poco. Bertone l’antidiplomatico, titola Libero, e ha ragione.
Detto questo, però, dobbiamo andare a vedere la realtà dei fatti. E a mio avviso gli attacchi cui è sottoposta la Chiesa e lo stesso Papa Benedetto XVI in questi giorni, sono attacchi perlopiù strumentali, guidati da un forte pregiudizio anticlericale. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, l’unico interesse è quello di denigrare la Chiesa e tutto ciò che rappresenta, non già tutelare le vittime degli abusi. Ho la sensazione che sia solo l’ennesimo robusto pretesto per attaccare politicamente la Chiesa e la sua dottrina. Ci siamo già dimenticati di Roman Polanski? Il regista condannato per lo stupro di una minorenne, ma prontamente difeso da diversi “intellettuali” di sinistra e non solo. In quel caso si levarono scudi in sua difesa. Si tentò di giustificare, si firmarono appelli per implorare comprensione, pietas, eccetera.
E Frédéric Mitterrand? Se n’è parlato per uno o due giorni sui giornali italiani, poi il caso, evidentemente troppo personale, troppo poco strumentalizzabile, è finito nel dimenticatoio. Mitterand ha solo scritto un libro in cui racconta il suo piacevole e disincantato turismo sessuale con i “ragazzi” thailandesi, ma niente di che. Troppo francese, troppo distante dalle gerarchie cattoliche.
Vogliamo parlare di Niki Vendola? Così tanto apprezzato e stimato e venerato nonostante abbia pronunciato queste agghiaccianti parole: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l'ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione». Dopo le ultime elezioni poi, a sinistra sono tutti (o quasi) entusiasti del Governatore pugliese, un mito, ma nessuno gli ricorda di aver pronunciato quelle parole, nessuno chiede spiegazioni, nessuno vuole sapere cosa intendesse Niki quando diceva che la pedofilia è una forma di amore, non necessariamente con implicazioni sessuali, per i bambini. Ora, so bene che Vendola era giovane e inesperto (politicamente) quando si lasciò scappare (?) quelle frasi. Ma immaginate se le avesse pronunciate Berlusconi o un alto prelato, gliele avrebbero mai perdonate? Mai. E invece sembra che i casi di pedofilia stiano tanto a cuore all’opinione pubblica – soprattutto alla cultura liberal e progressista – solo quando di mezzo c'è qualche sacerdote.

mercoledì 14 aprile 2010

Una difesa laica del Papa


Oggi, sul Corriere, c'è un'imperdibile articolo di Piero Ostellino, che dimostra quanto poco liberale e tollerante (e quindi laico) sia il pregiudizio razionalista anticlericale. Ecco i tre passaggi più significativi.


All'origine dell'aggressione cui sono sottoposti la Chiesa, e lo stesso papa Benedetto XVI, sul tema della pedofilia in ambito ecclesiale, ci sono un pregiudizio razionalista e una violenza giacobina [...].

Si sta manifestando, inoltre, un vistoso paradosso. A essere oggetto degli attacchi più aspri è proprio l'attuale Pontefice, che ha il merito indubbio di aver fatto opera di trasparenza all'interno della Chiesa, su un fenomeno troppo a lungo sottaciuto, e di aver cercato di definire, e distinguere, gli ambiti dei tribunali civili, riconoscendone le prerogative in tema di persecuzione del reato di pedofilia, secondo la legge civile, e quelli propri della Chiesa, rivendicandone l'autonomia nella condanna dei peccati e nella redenzione dei peccatori, secondo il diritto canonico e la propria predicazione (si chiama carità cristiana) [...].

Di fronte allo spettacolo inquietante cui stiamo assistendo, stupisce, infine, la grande quantità di spettatori che rimangono silenti in un’apparente indifferenza. Come se la stessa nostra democrazia liberale non fosse debitrice del messaggio cristiano che ha posto al centro la sacralità e l’inviolabilità della persona.

mercoledì 7 aprile 2010

Benedetto XVI: un Papa sotto bersaglio


Perché Benedetto XVI viene ingiustamente accusato di fatti gravissimi anche quando è palesemente innocente? Come si fa ad accusare Ratzinger di complicità per fatti di pedofilia quando è il Papa che più ha combattuto e più si è speso per contrastare questo deplorevole fenomeno? Perché questo Papa è sempre sotto bersaglio? «Un principio di risposta», secondo Sandro Magister, «è che papa Benedetto è sistematicamente attaccato proprio per ciò che fa, per ciò che dice, per ciò che è». Secondo Magister, la pedofilia è solo l'ultima delle armi puntate contro Joseph Ratzinger. Ogni volta egli è puntualmente attaccato dove più esercita il suo ruolo di guida. Prima Ratisbona e le critiche di intolleranza contro l’islam; poi La Sapienza e le accuse degli scientisti; la liberalizzazione del rito antico della messa e quindi l’accusa di antimodernità; poi ancora, le accuse di inimicizia con gli ebrei quando «nessun altro papa, prima di lui, si è spinto tanto avanti nel definire una visione positiva del rapporto tra cristianesimo ed ebraismo»; infine, i recenti attacchi del New York Times sul caso Murphy. Un Papa mite, Joseph Ratzinger. Al contrario del suo predecessore, evita quando può la luce dei riflettori, per concentrarsi sulla parola, sulla sostanza. E’ questa la forza di Benedetto XVI. E, probabilmente, anche la sua debolezza. Il Papa filosofo vuole che sia la forza della verità a vincere e niente altro. Non vuole piacere a tutti i costi. Preferisce far piacere l’idea, potente e rivoluzionaria, che Gesù Cristo non sia solo un personaggio storico. Preferisce rovesciare il dubbio sfidando la ragione ad ammettere la possibilità: “e se fosse vero?” Capisco che questo, nell’era di facebook e di youtube, è dirompente e per molti insostenibile. Perché dovremmo vivere come se Dio ci fosse? Perché dovremmo vivere secondo una morale precisa? Che senso ha essere cristiani nel 2010? Perché ragione e fede dovrebbero dialogare e sostenersi reciprocamente?
Il lavoro di Benedetto XVI è un lavoro durissimo, quasi impossibile. Al giorno d’oggi è difficile anche solo sostenere l’esistenza della verità quale che sia, figuriamoci accettarne una che ha più di duemila anni.
Questo Papa sa bene quanto è faticoso penetrare la superficialità dilagante; quanto è impegnativo vincere i pregiudizi e proporre un’alternativa valida alla spasmodica ricerca del piacere; quanto è importante ricordare alle persone che Dio è amore, che non c’è libertà senza verità, che Cristo non è privazione, ma speranza e buonumore. Proprio perché l’uomo è profondità e spiritualità, oltre che corpo ed istinto, le parole di Ratzinger arrivano dritte al cuore di chi è disposto ad ascoltare. Di chi è disposto a ragionare.

martedì 6 aprile 2010

Il Papa e il New York Times


"A few years later, when the CDF assumed authority over all abuse cases, Cardinal Ratzinger implemented changes that allowed for direct administrative action instead of trials that often took years. Roughly 60% of priests accused of sexual abuse were handled this way. The man who is now pope reopened cases that had been closed; did more than anyone to process cases and hold abusers accountable; and became the first pope to meet with victims. Isn't the more reasonable interpretation of all these events that Cardinal Ratzinger's experience with cases like Murphy's helped lead him to promote reforms that gave the church more effective tools for handling priestly abuse?" (William McGurn, Wall Street Journal, il resto dell'articolo qui).

venerdì 2 aprile 2010

Il caso Murphy: cominciamo con l'abbattere i pregiudizi


Sono convinto che la maggior parte delle persone che in questi giorni sono venute a conoscenza dai media della scandalosa vicenda riguardante il caso di Lawrence C. Murphy, abbiano capito poco di quello che è veramente accaduto. Penso, infatti, che molti preferiscano trincerarsi dietro il forte pregiudizio anticlericale prodotto dall'imperversare inesorabile del laicismo intollerante, la nuova religione dell'era moderna. E' sufficiente, infatti, accostare le parole pedofilia e chiesa per innescare la diabolica associazione mentale e far passare il messaggio che tutti i preti sono pedofili e che perfino il Papa potrebbe esserlo. Ma il pregiudizio si sa è frutto dell'ignoranza e della pigrizia intellettuale.
Innanzitutto, qualche punto fermo: 1) Nessuno ha vietato le denunce all’autorità civile, né ha suggerito di non farle: le autorità civili a suo tempo investigarono e non arrivarono a nulla. 2) L’ex Sant’Uffizio fu informato del caso solo nel 1996. Venne approfondito, anche durante un incontro a Roma con i vescovi competenti e alla fine si decise di non far avanzare il processo canonico anche a motivo delle condizioni di salute di padre Murphy che morì di lì a poco. 3) Il caso non è stato “insabbiato”.
Inoltre, consiglio fortemente la lettura di questo articolo scritto dal professor George Weigel che dimostra l'insostenibilità delle accuse del New York Times.

Ora possiamo cominciare a discuterne.