
Auguri e arrivederci a dopo le feste.
Anche se le varie Concita De Gregorio e i tanti Giuseppe D’Avanzo e Marco Travaglio di turno vi diranno che l’unica differenza fra i due presidenti sessualmente libertini è che uno si è prontamente dimesso e l’altro no; uno ha riconosciuto i suoi errori e l’altro ancora li nega mentendo, io mi permetto invece di farvi notare che questi bacchettoni de sinistra, costretti a recitare la parte del puritano ipocrita, la dovrebbero raccontare tutta la storiella e non solo a metà. Intanto nessuno si è dimesso. Autosospendersi dall’incarico è cosa molto diversa. E poi bisognerebbe non tralasciare furbescamente l’altro fatto: chi andava a trans consapevolmente, è stato ricattato ed ha pagato i suoi ricattatori per ottenere il silenzio. Non li ha denunciati, nemmeno pubblicamente, ed è indagato per aver commesso almeno due reati previsti dal nostro codice penale. Il secondo presidente, invece, quello che andava a puttane inconsapevolmente, non è stato accusato per alcun reato. Mi pare che questo sia un fatto non adeguatamente messo in risalto dal Fatto quotidiano, il giornale delle procure. Per tutto il resto lascio a Repubblica e a l’Unità, le due autorità morali della carta stampata, giudicare e fare domande (10 domande), spiare dal buco della serratura e guardare sotto le lenzuola dei malcapitati, pubblicare foto, registrazioni e filmati a luci rosse. Lascio a Santoro, depositario della verità, il ruolo di pubblico accusatore e giudice televisivo, il dubbio se invitare o meno qualche viados per fare più luce sulla scabrosa vicenda. Lascio infine agli altri il privilegio di leggere o guardare questa spazzatura.
Se non ricordo male, Benedetto Croce in “Etica e politica” scriveva che come un poeta viene giudicato per quello che scrive e come lo scrive – tanto che una poesia sublime resta tale anche se il suo autore è un ubriacone oppure un lussurioso – allo stesso modo va considerata l’arte politica e l’uomo politico. Un uomo onesto e tutto d’un pezzo potrà essere certamente marito fedele, ma non è detto che sia al contempo abile politico. Così come un pessimo marito, un uomo amante delle bella vita e delle belle donne, può rivelarsi in effetti politico geniale e coraggioso, amato dal popolo e stravotato. Il popolo è sovrano secondo la nostra costituzione e l’eletto dal popolo è intoccabile, come l’ape regina.
Parla Rose Busingye, infermiera ugandese (dal Foglio.it).
“Qui Non abbiamo medicine, si muore di malaria, di dissenteria. E ci vogliono mandare i preservativi. Ma che coraggio hanno di fronte al mondo di dire che il bisogno dell’Africa è un preservativo?”.
“Abbiamo letto insieme le istruzioni: occorre una temperatura esterna non troppo alta, bisogna lavarsi, stare attenti perché basta un po’ di polvere per romperlo, ecc. Le mie donne mi hanno guardato e mi hanno detto: ‘Rose, quanti gradi ci sono in Africa? Quante case hanno il rubinetto per lavarsi?’. Poi mi hanno fatto vedere le loro mani: ruvide e rovinate dal lavoro nella cava, affilate come un sasso. E se basta un po’ di polvere per rompere il preservativo… Capisci? Non hanno neanche le lenzuola, i letti, l’acqua – ride – E pensano di salvarci con i preservativi!”. Si ferma, torna seria: “Bisogna smetterla di parlare per niente, senza sapere di cosa si sta parlando”.
L’Uganda è però anche il primo paese del continente nero ad avere attuato una politica vincente nella lotta all’Aids: in pochi anni si è passati dal 21 per cento della popolazione infetta al 6,4 per cento di oggi. “Lo abbiamo fatto – spiega Rose – senza distribuire preservativi a tutti, ma educando le persone. Anche grazie al nostro presidente”.
Nulla di diverso dalle parole del Papa: “Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto con le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, a essere con i sofferenti”. Nulla di diverso da quello che racconta Rose: “Non sappiamo amare, viviamo definiti dall’istinto. E quando uno non si sente amato non può amare nessuno, usa se stesso e gli altri. A uno infettato dall’Hiv non interessa nulla proteggere gli altri se non sa che la sua vita ha un valore, un significato. Quelli che attaccano il Papa non sanno cosa dicono”. O forse lo sanno benissimo. “Tu vali più di un preservativo, il bisogno dell’Africa non sono i preservativi. Se lo pensi sei fuori dal mondo”, dice.
Capisco chi invoca il silenzio. In questi momenti è difficile pronunciare parole che non siano percepite come eccessive, ridondanti, spropositate o semplicemente fuori luogo. E' il sacro rispetto della vita che ci porta ad essere così premurosi nell'accogliere la morte. Ma se il concetto di progresso coincide con l’uccisione di un essere umano completamente indifeso, capisco anche il bisogno di esternare tutto lo sconcerto e la rabbia di chi vorrebbe vivere, invece, in una società dove i malati siano sempre considerati persone da curare e da accudire amorevolmente fino all’ultimo istante della loro vita; in una società che si faccia carico del dolore, ma che non se ne liberi egoisticamente. Ecco quindi che se per qualcuno lasciar morire una ragazza di fame e di sete può considerarsi una conquista, capisco chi la vorrebbe salvare da questo tragico destino. Capisco quelle suore che in silenzio l’hanno accudita durante tutti questi anni e che ora chiedono al padre della ragazza: perché...? Per che cosa lasciarla morire? Siamo assolutamente convinti che oggi Eluana vorrebbe morire?
Noi che ci consideriamo cristiani – anche se poi viviamo spesso come se fossimo atei – e che siamo cresciuti con l’immagine di Gesù morto per amore dell’umanità in croce, come possiamo accettare che l’amore abbandoni quella ragazza? Come possiamo accettare che sia barbaramente privata di cibo e di acqua, in nome di una sua volontà presunta e ricostruita sulla base di affermazioni remote e non accertabili? E’ carità questa? E’ in questa cultura che vogliamo vivere?
“Occorre fare un passo indietro, e chiedersi quando la vita deve essere vissuta. La dignità della vita, infatti, ha a mio parere un carattere ontologico e non può dipendere da una ‘qualità’ misurata solo in termini utilitaristici. Non si può pensare che essere uomo, essere persona degna di vivere, possa diventare una sorta di patente a punti: se hai tutte le funzioni sei degno; se perdi le funzioni perdi la dignità. Finché un bel giorno ti viene tolta la patente, e altri possono decidere per te, avendo la presunzione di dire che quella vita non è degna di continuare. Non lo si può accettare”. (Mario Melazzini, medico, presidente di Aisla, malato di Sla).
In sostanza, dovrebbe la Chiesa scegliere di difendere la verità anche se si parla di guerre (tanto più se guerre a sfondo religioso) e non solo di problemi di ordine teologico? La Chiesa certamente deve invocare la pace, deve rivendicare una volta su tutte, e non è mai troppo, che ogni guerra è tremenda e atroce e che andrebbe evitata e che l'amore e non l'odio dovrebbe muovere gli interessi degli uomini, ma detto questo, presa coscienza che il mondo è ben lontano (ahimè) dal seguire questi consigli, potrebbe aggiungere qualcosa di più? Per coerenza e in nome della verità, appunto.